martedì 31 dicembre 2013

La Ruota dell’Anno

La Ruota dell’Anno

La Ruota dell’Anno, con le sue otto stazioni, è qualcosa di più di un calendario
“liturgico” pagano. E’ un simbolo che rivela continuamente numerosi significati,
dispiegandosi in una serie infinita di livelli di comprensione. Possiamo
paragonarla ad un mandala, quella rappresentazione simbolica del cosmo nelle
tradizioni induista e tibetana, che è al tempo stesso un potente strumento
rituale di meditazione. Oppure alla ‘Ruota di Medicina’ dei Nativi Nord-
Americani che, seppure in forme diverse, adempie alle stesse
funzioni.Proviamo a disegnare un cerchio su un foglio di carta, trac ciando otto
raggi (prima una croce a quattro bracci dritta e poi una seconda croce a X).
Laddove i raggi incontrano la circonferenza riportiamo i nomi delle otto feste.
11 punto in alto è quello del Solstizio d’inverno, poi procedendo in senso orario
sistemiamo imbolc, l’Equinozio di Primavera e così via .A questa ruota collocata
nel tempo possiamo sovrapporne un’altra situata nello spazio: la bussola. Così
in alto ci sarà il Nord, la direzione del buio e del freddo, così come buio e
freddo è il giorno più breve dell’anno. Dalla parte opposta troveremo il Sud,
luogo di quel calore e di quella luce che trionfano nel Solstizio di Estate.
L’Equinozio di Primavera è il mattino dell’anno, dove il sole sorge a oriente,
mentre l’Autunno è nel luogo del tramonto, a Ovest. Le quattro festività
celtiche troveranno spontaneamente la loro collocazione nelle direzioni
intermedie: Imbolc a NE, Beltane a SE, Lughnasadh a SO e Samhain a NO.Così
orientata, la Ruota dell’Anno continua a svelarci analogie e similitudini. Essa
può svilupparsi in un arco di tempo molto breve, nelle 24 ore. Il Solstizio
d’Inverno sarà analogo alla mezzanotte, mentre Imbolc apparterrà alle ore
piccole della notte, quando le tenebre iniziano poco a poco a scolorire.
L’Equinozio di Primavera sorgerà di primo mattino, alle sei, Beltane celebrerà il
suo trionfo alle nove e mezzogiorno sarà l’ora del Solstizio d’Estate.Nel corso
della giornata incontreremo Lughnasadh a metà pomeriggio, alle quindici circa
e l’Equinozio di Autunno al tramonto, verso le diciotto. La tarda serata sarà il
momento di Samhain. Ma la Ruota dell’Anno, nel gioco delle analogie, può
svilupparsi anche lungo quell’arco di tempo che ha scandito i calendari delle
civiltà primordiali: il mese lunare. Non ci vuole molto per determinare il posto
della Luna Oscura (impropriamente chiamato nei calendari Luna Nuova!), il
momento del ciclo lunare in cui il nostro satellite è completamente invisibile:
esso sarà nello stesso punto del Solstizio d’Inverno. Oscurità del Sole e
Oscurità della Luna. La prima falce della Luna Crescente sarà il preannuncio
dello splendore futuro e per questo assimilabile a Imbolc. L’Equinozio di
Primavera con il suo equilibrio di Luce e Oscurità non potrà che essere il Primo
Quarto, quando la luna è illuminata per metà. Beltane, con il suo splendore
sarà paragonabile alla cosiddetta Luna Gibbosa, quando cioè l’astro è luminoso
per tre quarti. La Luna Piena è il trionfo della luce, quindi si colloca idealmente
al Solstizio d’Estate. Il lento declino della Luna Disseminante che dona via via
la propria luce è Lughnasadh, quando la terra cede uno alla volta tutti i suoi
frutti. L’Equinozio di Autunno è come l’Ultimo Quarto: anche stavolta la luna è
illuminata solo a metà, ma ora è la tenebra che sta avanzando. Samhain, la
Festa dei Morti, si accoppia infine alla Luna Balsamica, l’ultima falce della luna
calante prima dell’oscurità totale. La falce che ci ricorda quella della Grande
Mietitrice. Non si può però dimenticare un altro ciclo che si sovrappone
idealmente a quello della Ruota dell’Anno, ed è il ciclo della nostra esistenza
umana. Prima del Solstizio d’Inverno siamo nel grembo materno da cui
emergiamo con la nascita del Nuovo Sole. Imbolc, il timido inizio, è la prima
infanzia dai zero ai sette anni circa, l’epoca che vede l’allattamento, lo
svezzamento e una condizione di innocenza e di purezza che dovremo presto
abbandonare. Con la tarda infanzia giungiamo all’Equinozio primaverile, l’inizio
irruente di ogni cosa, le prime prove della vita che affrontiamo con ottimismo e
voglia di crescere. Beltane è l’adolescenza, la prima giovinezza, così segnata
dalle prime esperienze d’amore, quando incontriamo l’Altro o l’Altra e ci
rendiamo conto di essere solo la metà di una dualità.
Con la prima età adulta, dai venti ai trenta anni, arriviamo nel fiore degli
anni: è il momento degli studi superiori, del matrimonio, dell’inserimento nella
vita professionale. Il Solstizio d’Estate simboleggia bene questo periodo della
nostra vita. Invece Lughnasadh è l’età adulta, dai trenta ai cinquanta anni
circa, l’epoca in cui cominciamo a vedere i frutti delle nostre fatiche (i successi
professionali, i figli).L’Equinozio di Autunno è il tramonto della nostra vita, dai
cinquanta ai settanta anni. Godiamo i frutti del nostro lavoro e osserviamo figli
e nipoti percorrere il loro sentiero. Samhain è la vecchiaia e quindi la morte,
punto di passaggio ad altri cicli di esistenza.E la Ruota inizia un nuovo giro!
Altri hanno collocato su questo mandala una lunga serie di altre figurazioni
simboliche: elementi, piante, animali totemici, pietre, colori e così via, ma non
vogliamo appesantire il discorso con elenchi che mutano da tradizione a
tradizione o addirittura da compilatore a compilatore. Chi vuole potrà costruirsi
la propria Ruota, attingendo alle tradizioni della propria zona, alle letture
suggerite dalla Bibliografia e magari anche alla propria intuizione.Ci sembra
invece opportuno concludere questa nostra esposizione con un piccolo rituale,
una meditazione in forma di visualizzazione, tramite la quale possiamo entrare
in sintonia con le energie e i profondi significati della Ruota dell’Anno.
(Roberto Fattore)

VISUALIZZAZIONE DELLA RUOTA DELL’ANNO

VISUALIZZAZIONE DELLA RUOTA DELL’ANNO

Disegnate la Ruota dell’Anno su un foglio di carta e a
occhi chiusi provate a visualizzarla. Immaginate di trovarvi “nella Ruota”, in
piedi sul punto che corrisponde alla festa di Samhain. Vi guardate intorno e
osservate il paesaggio che si è formato attorno a voi, le foglie cadono dagli
alberi e soffia un vento freddo. E’ sera, ma nel buio vedete la luce di un falò in
una radura. Molte persone sono intorno a questo falò, in silenziosa meditazione
e godendo il calore del fuoco. Hanno portato con loro delle zucche di
Hallowe’en e cibi da lasciare ai morti. Potete unirvi a questa silenziosa folla, se
desiderate. e quando vi sentite pronti visualizzate di nuovo la Ruota.
Ora camminate verso il punto che corrisponde al Solstizio d’Inverno,
sentendo come faccia sempre più freddo. Arrivati al punto del Solstizio è buio
ed è mezzanotte. Gli alberi intorno sono completamente spogli, ogni cosa
sembra fredda e morta. Osservate il bosco che vi circonda. Man mano che
osservate vi accorgete di luci che appaiono sugli alberi e vi trovate immersi in
magico e multicolore splendore luminoso. Appaiono persone tra gli alberi e si
uniscono a voi. Viene acceso un fuoco e tutti si scambiano rami di vischio e di
agrifoglio.
Dopo aver trascorso un po’ di tempo visualizzate nuovamente la Ruota, con
voi stessi che camminate fino al punto di Imbolc. Camminando vi accorgete
che inizia a nevicare. Arrivati al punto di Imbolc è ancora buio ma le tenebre
iniziano a diradarsi in attesa dell’alba. I rami degli alberi intorno stanno
cominciando ad arrossire di linfa e molti bucaneve iniziano a far capolino dal
bianco lenzuolo di neve che copre la terra. Vi accorgete che vicino a voi c’è una
pecora che sta allattando l’agnello. Diventate consapevoli della vita che sta
ritornando. Visualizzate la Ruota di nuovo: ora camminate verso l’Equinozio di
Primavera. Camminando la neve si scioglie e l’aria si fa tiepida.Al punto
dell’equinozio è ormai l’alba e un raggio di sole primaverile appare tra le
nuvole. Molti fiori selvatici stanno sbocciando e i rami degli alberi si stanno
ricoprendo di foglie di colore verde brillante. Sentite il sole sulla vostra pelle e
sentite la giovinezza dell’anno riflessa in voi stessi. Una lepre corre nella radura
e voi la osservate. Visualizzate nuovamente la Ruota: ora camminate verso il
punto di Beltane. Camminando l’aria diventa sempre più calda. Arrivati nel
pulito di I3eltare osservate gli alberi verdeggianti e sentite il profumo di molti
fiori nell’aria. E’ mattina inoltrata. Udite risate gioiose e vedete numerosi
giovani danzare intorno ad un palo di maggio. Diverse coppie camminano
mano nella mano e i bambini giocano e gridano. Assaporate la gioia del ritorno
dell’estate. Osservate ancora la Ruota. Camminate verso il punto del Solstizio
di Estate e sentite il sole risplendere su di voi. E’ mezzogiorno e i campi
biondeggiano di messi mature, ci sono frutti sugli alberi, papaveri e fiordalisi
nei prati. Ascoltate il canto degli uccelli e il ronzio delle api. Sentite il sole che
vi riscalda, vi energizza. Godete della sua luce. Quando vi sentite pronti
tornate a visualizzare la Ruota. Stavolta camminate verso il pulito di
Lughnasadh, divenendo consapevoli del calore fiammeggiante dell’estate
avanzata. Al punto di Lughnasadh osservate gli uomini che lavorano per
portare a casa i frutti del raccolto. E’ metà pomeriggio. Cogliete una mela da
una albero e sentite come essa vi rinfresca e vi nutre. Ascoltate il suono delle
cicale.Osservate di nuovo la Ruota, avanzando Verso il punto dell’Equinozio di
Autunno.E il tardo pomeriggio e nei campi i raccolti sono finiti.Ci sono persone
intorno a lunghe tavolate: mangiano e bevono celebrando la fine del raccolto
che è ormai stato immagazzinato.Vi unite a loro e partecipate alla loro gioia.
Quando vi sentite pronti osservate il punto di Samhain, (dove il ciclo
ricomincia, e tornate lentamente alla vostra condizione normale, riaprendo gli
occhi e stirandovi.
(Roberto Fattore)

YULE-SOLSTIZIO D ‘INVERNO LA RINASCITA DEL MONDO

SOLSTIZIO
D ‘INVERNO
LA RINASCITA DEL MONDO

Mentre l’anno volge al termine, nelle terre dell’emisfero boreale a clima
temperato le notti si allungano e le ore di luce sono sempre più brevi, fino al
giorno del Solstizio invernale, il 21 dicembre. Solstizio, dal latino “sol stat”, “il
sole si ferma”. E difatti il sole per circa tre giorni sorge sempre nello stesso
punto. Il respiro della natura è sospeso, nell’attesa di una trasformazione, e il
tempo stesso pare fermarsi. E’ uno dei momenti di passaggio dell’anno, forse il
più drammatico e paradossale: l’oscurità regna sovrana, ma nel momento del
suo trionfo cede alla luce che, lentamente, inizia a prevalere sulle brume
invernali. Dopo il Solstizio, la notte più lunga dell’anno, le giornate
ricominciano poco alla volta ad allungarsi. Come tutti i momenti di passaggio, il
Solstizio d’Inverno è un periodo carico di valenze simboliche e magiche,
dominato da una costellazione di miti e di simboli, echi ancestrali di un passato
lontanissimo e dei quali abbiamo ormai perso il significato originario. E
tuttavia, nelle moderne celebrazioni natalizie e di fine anno è ancora possibile
discernere i simboli di tradizioni primordiali sotto la loro attuale veste, cristiana
o consumistica che sia.
Cerchiamo per un attimo di immaginare come viveva l’antica umanità questo
periodo dell’anno, in epoche prive della
tecnologia moderna e nelle quali buio e gelo erano sinonimi di fame e morte.
Dalla Siberia alle Isole Britanniche, passando per l’Europa Centrale e il
Mediterraneo, era tutto un fiorire di riti e cosmogonie che celebravano le nozze
fatali della notte più lunga col giorno più breve. Due temi principali si
intrecciavano e si sovrapponevano, come i temi musicali di una grande
sinfonia. Uno era la morte del Vecchio Sole e la nascita del Sole Bambino,
l’altra era il tema vegetale che narrava la sconfitta del Dio Agrifoglio, Re
dell’Anno Calante, ad opera del Dio Quercia, Re dell’Anno Crescente. Un terzo
tema, forse meno antico e nato con le prime civiltà agrarie, celebrava sullo
sfondo la nascita-germinazione di un Dio del Grano...
Se il sole è un dio, il diminuire del suo calore e della sua luce è visto come
segno di vecchiaia e declino. Occorre cacciare l’oscurità prima che il sole
scompaia per sempre.Le genti dell’antichità, che si consideravano parte del
grande cerchio della vita, ritenevano che ogni loro azione, anche la più piccola,
potesse influenzare i grandi cicli del cosmo. Così si celebravano riti per
assicurare la rigenerazione del sole e si accendevano falò per sostenerne la
forza e per incoraggiarne, tramite la cosiddetta “magia simpatica” la rinascita e
la ripresa della sua marcia trionfale. L’inverno era pericoloso, non solo per il
freddo e la scarsità di cibo, ma anche perché vagavano sulla terra spiriti di
defunti, vampiri e licantropi, entrati dal varco che si era aperto alle calende di
novembre, Samhain (l’attuale Ognissanti). In un anno di 13 mesi lunari di 28
giorni ciascuno, resta inevitabilmente fuori un giorno, il giorno senza nome che
rappresenta una frattura nel ciclo del tempo, il ritorno del Caos
primordiale. Il Solstizio è insieme festa di morte, trasformazione e rinascita.Il
Re Oscuro, il Vecchio Sole, muore e si trasforma nel Sole Bambino che rinasce
dall’utero della Dea: all’alba la Grande Madre ‘Terra dà alla luce il Sole Dio. La
Dea è la vita dentro la morte, perché anche se ora è regina del gelo e
dell’oscurità, mette al mondo il Figlio della Promessa, il Sole suo amante che la
rifeconderà riportando calore e luce al suo regno. Anche se i più freddi giorni
dell’inverno ancora devono venire, sappiamo che con la rinascita del sole la
primavera ritornerà.
I Celti consideravano il sole che si levava fino alla vigilia del Solstizio un
sole-ombra, mentre quello vero era prigioniero di Arawn, re del Mondo-di-
Sotto. Questo vero sole rinasceva dal grembo di Ceridwen, la vecchia Dea-
Strega dell’inverno. Nella tradizione druidica moderna il solstizio prende il
nome di Alban Arthuan, “Luce di Artù”, dove il Dio Sole rinasce in questo
giorno come il re Artù che dorme in una grotta segreta nelle montagne gallesi
si risveglierà un giorno per portare un’epoca di pace e di prosperità.
I grandi monumenti megalitici della preistoria sono testimonianze mute ma
possenti di questa tradizione.A Stonehenge, il cerchio di pietre eretto in
Inghilterra fra il 3100 e il 1700 a.C. il sole del Solstizio sorge all’alba attraverso
il trilite di Sud-Est e proprio sopra la Altar Stone, la Pietra Altare. I costruttori
di dolmen e menhir possedevano una notevole sapienza astronomica e appare
evidente il loro interesse per il solstizio invernale e per la posizione della luna
in questo periodo: si è già visto come il Nuovo Sole era inseparabilmente
legato alla Vecchia Strega lunare, regina dell’inverno. Forse i monumenti
preistorici erano teatro di danze rituali in cerchio che, combinate con le energie
delle grandi pietre, avevano lo scopo di rigenerare i poteri della vita.A
Newgrange, in Irlanda, il simbolismo era più spettacolare: nell’enorme tumulo
eretto verso il 3200 a.C., un raggio del sole che sorge all’alba del solstizio
percorre esattamente un lungo e strettissimo corridoio per illuminare la piccola
cella interna. Molto più tardi, i Celti narreranno che Lugh, dio della luce, era
stato sepolto a Newgrange, tomba e utero della sua rinascita.
Sono numerose le tradizioni che vedono nascere un dio del sole o della luce
in una caverna. Il sole emerge dall’utero-caverna della Dea o, per usare un
altro linguaggio, il buio è l’oscurità alchemica in cui si forma la splendente
pietra filosofale. In una grotta, simbolo del cosmo stesso, nascono Dioniso,
Hermes. Zeus. In Atene il rituale del solstizio erano le Lenee, la Festa delle
Donne Selvagge, in cui si celebravano ad un tempo la morte e la rinascita di
Dioniso. Grotte addobbate di fiori commemoravano la nascita del dio, sacrificato
in precedenza come capretto dai Titani. I Cretesi uccidevano e
mangiavano un toro quale sostituto di Dioniso. E come toro veniva adorato e
sacrificato un altro dio solstiziale, il persiano Mithra, che nasceva il 25
dicembre in una grotta, così come grotte erano i suoi santuari di iniziazione.
In Egitto era Iside a circumambulare sette volte, sotto forma di vacca aurea,
l’altare di Osiride per cercare le parti del suo cadavere smembrato,
raffigurando la ricerca del sole in inverno da parte della Dea. Le case erano
decorate con lampade a olio che ardevano tutta la notte. A mezzanotte i
sacerdoti uscivano dal santuario gridando “La Vergine ha partorito! La luce è
crescente!” e mostrando un’immagine del bambino ai fedeli. La sepoltura di
Osiride, il Vecchio Sole assassinato dal fratello Seth, il dio dalla testa di asino,
avveniva il 21 dicembre.Il 23 Iside dava alla luce il figlio Horus, il Nuovo Sole e
al tempo stesso il Signore dei raccolti.Horus e Osiride rappresentano
contemporaneamente gli aspetti solari e vegetali della divinità, fondendo nel
suo) mito i tre temi mitici del Solstizio e insegnandoci che morte e vita Sono
inseparabili: ogni nuova nascita ci porta più vicini alla morte.Il Vecchio Dio
deve venire a patti con le implicazioni di questa verità perché solo così può
rinascere attraverso il figlio. Il Natale è la versione cristiana della rinascita (lei
sole, fissato secondo la tradizione al 25 dicembre dal papa Giulio I (337 - 352)
I)CF il duplice SCO{)O di celebrare Gesù Cristo come ‘Sole (li giustizia’ e
creare una celebrazione alternativa alla più popolare festa pagana dell’epoca.Il
25 dicembre infatti, quando il nuovo sole è già salito percettibilmente sull’orizzonte,
era a Roma il Dies Natalis Solis lnvicti, la festa in onore del Sole
Invincibile istituita dall’imperatore Aureliano per celebrare il sole quale
manifestazione della divinità che governa il cosmo.La nuova religione cristiana
assorbì gran parte dei significati di questa festa, così come, più tardi, assorbì le
usanze legate alla festività nord-europee di Yule (dal norvegese iul, “ruota’, ad
indicare la vuota o ciclo dell’anno).ella a Roma vi era una festa molto più antica
di quella del Sole Invincibile: fra il li e il 23 dicembre si celebravano i
Saturnali.In ogni città e villaggio veniva nominato un rex Saturnaliorum che
regnava per una settimana fra banchetti, giochi e orge, mentre gli schiavi
prendevano il posto nei padroni e viceversa.I a libertà e il caos non erano altro
che il ricordo della mitica Età del l’oro, un’epoca felice,uguaglianza e
abbondanza in cui aveva regnato Saturno. Solo durante i Saturnali veniva
ammesso il gioco d’azzardo: nomi un semplice svago tua un atto rituale
oracolare, teso ad interpretare la volontà degli dei. La falce di Saturno era in
realtà un lituus, il bastone ricurvo usato dagli àuguri per vaticinare il futuro.E i
dadi dell’antica Roma erano forse il residuo di una antichissimo gioco
oracolare: “sortes’ erano in latino i dadi, nome che rimanda alla lettura dei
destini.La moderna tombola ha ereditato questo valore, con i suoi significati
scherzosi attribuiti ai 90 numeri, mentre ancor oggi fioriscono le vecchie
usanze divinatorie, come quella secondo cui è possibile trarre pronostici sui 1 2
mesi dell’anno a venire osservando 1 2 giorni che separano il Natale
dall’Epifania.Tutti i momenti critici dell’anno, come ormai abbiamo ben
compreso,sono fratture tra i mondi umani e quelli ultraumani, sommo tempi
fuori dal tempo, mm cui passato, presente e futuro si mescolano e di
conseguenza momenti propizi per le arti divinatorie. Gli antichi Greci
chiamavano il Solstizio invernale ‘porta degli dei”, considerandolo il confine tra
il nostro mondo e una dimensione non-spaziale e non-temporale. Per questa
porta si accede ad uno stato super-individuale, divino, il regno degli dei.
Un’altra tradizione tramandata dai Saturnali è quella dei doni: in epoca
imperiale a Roma ci si scambiava lumi accesi, simbolo della luce crescente. Alla
fine dei Saturnali il Rex Saturnìaliorurn era ucciso simbolicamente (o forse
realmente in epoche remote), e Saturno nuovamente legato, perché la frattura
spazio-temporale si era richiusa e l’Età dell’Oro poteva essere instaurata
definitivamente solo alla fine di un intero ciclo cosmico.
Saturno veniva imprigionato da Giove: questo ricorda chiaramente il tema
delle due divinità che si combattono, la metà crescente e quella calante
dell’anno o, come appare in certi miti di origine celtica, il Re della Quercia e il
Re dell’Agrifoglio. Le attuali decorazioni natalizie richiamano l’antica usanza di
mantenere vivo lo spirito della vegetazione con piante sempreverdi. In
analogia al Solstizio d’Estate, anche il Solstizio d’Inverno è ricco di simboli
vegetali.
L’albero di Natale, l’abete, rappresenta in realtà l’Albero del Cosmo delle
mitologie nordiche. Se appendiamo ai suoi rami luci e frutti dorati è per
celebrare il mito solare. L’albero di Natale ha in effetti origini pre-cristiane.Si
attribuisce la sua introduzione a Martin Lutero, nella Germania del XVI0 secolo,
ma la parola tedesca per l’albero non è Kristenbaum bensì Tannenbaum, parola
collegata a Tinne o Glas-tin (gli alberi sacri dei Celti). La parola Tin o Tanne era
usata per una quercia sempreverde (di qui il nome tannino, l’acido estratto
dalla corteccia e usato per la concia delle pelli) e quindi abbiamo un ulteriore
rinvio al Re della Quercia.
L’agrifoglio invece, con le sue bacche rosse allude al sole e ghirlande di
agrifogli simboleggiano la Ruota dell’Anno. In certi luoghi delle Isole
Britanniche un uomo vestito di nero (colore saturnino!) o con la faccia tinta di
nerofumo era il Ragazzo dell’Agrifoglio, la persona designata a entrare per
prima nelle case il giorno del Solstizio. Una mazza di agrifoglio era il bastone di
Saturno con il quale si uccideva un asino durante i Saturnali. Per le loro
associazioni con il Dio dell’Anno Calante, ancora oggi in Irlanda, le decorazioni
di agrifoglio vengono spazzate via dalle case dopo Natale perché porta sfortuna
conservare i simboli dell’anno vecchio. Tinnìe la parola irlandese per agrifoglio
è ritenuta collegata alla parola Glas-Tin che in Cornovaglia significa “albero
sacro”: ciò ha fatto ipotizzare che Glastonbury, la località britannica
considerata il luogo) di sepoltura del mitico re Artù, fosse stata anticamente un
bosco di alberi sacri ove magari crescevano agrifogli e querce.L’agrifoglio era
collegato folkloricamente all’edera, simbolo di vita e di rinascita a motivo della
sua crescita a spirale, e considerato l’arbusto in cui si nasconde lo
scricciolo.Nelle antiche usanze britanniche l’edera era utilizzata come
decorazione natalizia e si combattevano scherzose battaglie a base di canti
satirici tra le Ragazze dell’Edera e i Ragazzi dell’Agrifoglio.[orse ciò
rappresentava uno scontro tra la parte dell’Anno dominata da una divinità
maschile e quella dominata da una divinità femminile. “Fanciulla dell’Edera” era
chiamato l’ultimo covone di grammo mietuto e questo ci conduce al tenia
agrario e cerealicolo del Solstizio.Lo scrittore Robert Graves riteneva clic la
foglia a cinque punte dell’edera simboleggiasse il misterioso gruppo delle
cinque dee dell’antica Britannia, le Deae Matronìae che ricorrono in numerose
iscrizioni dell’epoca romana e che forse presiedevano i duelli solstiziali dei due
Re.Ma è amiche probabile che l’edera rappresentasse il nuovo sole, il Dio
risorto, dato che era una pianta sacra a Dioniso e a Osiride.
Nel fòlklore britannico la morte del Re dell’Anno Galante è tuttora celebrata
cori la caccia e uccisione dello scricciolo (uccello totemico di Saturno) ad opera
del pettirosso, l’uccello dell’Anno Crescente. In certe località irlandesi, il 26
dicembre i “ragazzi dello scricciolo” gira no per le case con rami di agrifoglio,
chiedendo doni. In altri luoghi a girare sono gruppi di musici adulti, con una
piccola effigie di uno scricciolo su un ramo di agrifoglio. Non esistono
corrispondenti tradizioni estive della caccia al pettirosso, anche se la curiosa
credenza irlandese secondo cui i bambini nati alla Pentecoste e ritenuti in
pericolo di vita potevano salvarsi se fra le loro mani veniva schiacciato un non
specificato uccellino, può suggerire il sacrificio rituale del pettirosso simbolo del
Re della Quercia, che si prende la rivincita in inverno. Nei mumming plays
inglesi 5. Giorgio uccide l’oscuro “Turco” gridando poi di avere ucciso il suo
stesso fratello: luce ed oscurità sono complementari e inseparabili, così alla
fine di queste rappresentazioni folkloriche giunge un misterioso “Dottore” che
resuscita con un elisir il personaggio ucciso. Questo equilibrio di buio e luce è
stato distorto nel corso dei secoli in una lotta fra bene e male. In molte località
europee le campane delle chiese per secoli suonarono il “rintocco funebre del
diavolo” nell’ultima ora della vigilia di Natale, avvisando che Cristo stava
arrivando per distruggere Satana. Curiosamente, il soprannome inglese del
diavolo “Old Nick” ci rinvia a Nik, un nome del dio nordico Odino, e a San
Nicola, che nell’antico folklore cavalcava un cavallo bianco nel cielo, proprio
come Odino.Questo santo com’è noto, si è poi trasformato nel Santa Claus
americano, l’odierno Babbo Natale e ultima incarnazione del Dio Agrifoglio,
l’anno calante, il Saturno vecchio e morente ma dispensatore di doni e di
saggezza analogo al dio celtico Bran (e come questo signore del benefico caos
solstiziale). Babbo Natale vive al Polo Nord e il nord è la direzione simbolica
degli spiriti, la terra dei morti. Incidentalmente, in Italia Babbo Natale è
sostituito o affiancato dalla Befana, la strega benefica che altri non è che la
Vecchia Dea come dispensatrice di nuova vita.
Anche la mela, frutto che abbiamo già visto a Samhain (capodanno celtico
così come il Solstizio è il capodanno astronomico), ha giocato un ruolo
importante nelle tradizioni solstiziali. Durante i secoli XIV e XV in molte località
europee venivano appese mele a rami sempreverdi per usarli in
rappresentazioni sacre la vigilia di natale, chiamata nel Medio Evo anche
Giorno di Adamo ed Eva. In queste rappresentazioni sacre i rami con le mele
indicavano l’albero dell’Eden. Ma più importante era il significato della
continuità della vita spirituale che si manifesta nel continuo ciclo delle stagioni.
Nell’epoca più buia dell’anno occorreva mimare il ritorno del sole e un modo
semplice per fare questo era adornare rami di sempreverdi con simboli di
abbondanza, di luce e di primavera, come frutti e candele accese. L’uso delle
mele era molto antico e si ricollegava all’usanza pagana sassone del wassailing
(dal sassone wes hai = essere in buona salute) che consisteva nel recarsi di un
gruppo di persone nei frutteti al Solstizio d’Inverno con un recipiente di
wassail, cioè di sidro bollito e speziato. Il sidro era spruzzato sui rami e versato
intorno alla base del tronco di un albero scelto a rappresentare tutti gli altri.
Danze e canti accompagnavano questo rito che aveva lo scopo di garantire
futuri abbondanti raccolti.
Il Solstizio d’inverno cela tra le sue molteplici manifestazioni anche quelle
legate ad un simbolismo granario. San Girolamo, che visse a Betlemme fra il
386 e il 420, scrisse che là c’era un bosco sacro ad Adone o Tammuz, come era
chiamato in Palestina. Tammuz, amato dalla dea Ishtar, è il tipico dio morente
e risuscitato, Signore della vegetazione e del grano. La religione cristiana
assimilò ben presto questo simbolismo nel sacramento dell’eucarestia. La
risonanza del ciclo del grano con quello del sole si riflette ancora in molte
usanze, come quella scozzese di conservare fino a Yule la Fanciulla del Grano,
la bambola costruita con le spighe dell’ultimo covone mietuto, per poi darla
come cibo al bestiame per farlo prosperare. Oppure nell’usanza, diffusa in
molte regioni europee, di spargere le ceneri del ciocco di Natale sui campi di
grano.
La tradizione del ciocco è quella che, forse più di tante altre, ha fuso in unico
simbolo il mito della luce solare e quello vegetale del dio che muore per
rinascere dalle proprie ceneri. Il ceppo, di solito di legno di quercia (l’albero del
Dio dell’anno crescente, trionfante al Solstizio d’Inverno...), veniva portato
nelle case la sera della vigilia, ornato di sempreverdi e innaffiato di vino, per
essere acceso nel caminetto dal membro più giovane o più anziano della
famiglia (il nuovo o il vecchio sole...) Spento il giorno dopo, veniva riacceso
ogni sera nelle fatidiche 12 notti fino all’Epifania. La cenere era sparsa intorno
all’orto contro i parassiti o sulle travi di casa a protezione dai fulmini. I carboni
erano riaccesi quando minacciava la grandine.Il pezzo che restava era
utilizzato per accendere il ciocco dell'anno successivo, a simboleggiare la forza
della vita che passa da una modalità di esistenza all’altra, in un ciclo senza
fine.
In Scozia e Cornovaglia si bruciava un ceppo cori una figura umana
rozzamente scolpita su di esso, vestigia di un antichissimo sacrificio divino.Il
ciocco ci riconduce al simbolo del pettirosso tramite una curiosa credenza. Il
nome inglese dell’uccello, Robin Redbreast, richiama infatti Robin Hood e Hood
significa ciocc() (li legno.Nel ciocco di legno di quercia si credeva risiedesse
questo spirito.“Cavallo di Robin Hood” era chiamato il pidocchio del legno che
fuggiva quando il ciocco veniva acceso; Robìn stesso fuggiva dal camino in
forma di pettirosso e a Yule muoveva contro il Dio dell’Anno Calante.Per gli
antichi Ittiti il dio Alalu, il cui nome significa ciocco, personificava il destino.Così
il ciocco ci riconduce al significato più autentico della festa solstiziale: il grande
cerchio dell’essere dove buio e luce, mori e vita, passato e futuro si intrecciano
e si trasformano l’uno nell’altro in quella eterna danza cosmica che è il destino
di tutto ciò che esiste.La pianta sacra del Solstizio D’inverno è il vischio, pianta
simbolo della vita in quanto le sue bacche bianche e traslucide somigli ano allo
sperma maschile. Il vischio.pianta sacra ai druidi, era considerata una pianta
discesa dal cielo, figlia del fulmine, e quindi emanazione divina.Equiparato alla
vita attraverso la sua somiglianza allo sperma, ed unito alla quercia, i sacro
albero dell’eternità. Questa pianta partecipa sia del simbolismo dell’eternità che
di quello dell ‘istante, simbolo di rigenerazione ma anche di immortalità. I
druidi tagliavano ritualmente ai solstizi i rami di vischio con unì falcetto d’oro,
strumento che univa in sé il simbolo del sei e quello del la luna.La pianta era
chi amata il tutto-sana (in gaelico irlandese uile-iceadh, in gaelico scozzese uilioc),
medicina universale dono del risanante momento dell’eternità. Ancora
oggi baciarsi sotto il vischio è un gesto propiziatorio di
fortuna e la prima persona a entrare in casa dopo il solstizio deve portare con
sè un ramo di vischio.Queste usanze solstiziali sono state trasferite al primo
gennaio: il Capodanno dell' attuale calendario civile.
CELEBRARE IL SOLSTIZIO D’INVERNO
La natura in questo tempo si riposa per prepararsi a vivere un nuovo ciclo e
anche per noi sarebbe fisicamente opportuna una pausa, approfittando magari
delle vacanze natalizie per
dedicarci alla lettura, alla meditazione, a esercizi di rilassamento.Una cosa
piacevole sarebbe l'idromassaggio, un a pratica rilassante e al tempo stesso
simboleggiante le acque uterine da cui vogliamo rinascere per l'anno a
venire.Purtroppo tutto congiura contro un salutare riposo solstiziale.Infatti
questo p nodo dell’anno, per l'accumularsi di celebrazioni, feste e acquisti di
regali può portare a stress e ansia La forzata allegria, la caduta della routine
quotidiana, il consumismo esasperato, sono tutti elementi che possono
condurre a sentimenti di depressione e isolamento. Sarà la minor quantità di
luce solare, sarà l’essere costretti a mostrare un aspetto felice, ma questo è
uno dei periodi dell’anno con il più alto picco di suicidi. .Iuttavia, se ricordiamo
che questo tempo è quel lo in cui siamo più lontani dal Sole e
contemporaneamente anche consapevoli della sua rinascita, possiamo provare
a trattenere questa piccola luce in noi. Il Solstizio può essere per noi un
momento molto calmo e importante, in cui nella silenziosa e oscura profondità
del nostro essere, noi contattiamo la scintilla del nuovo sole. Questa è anche
una opportunità per gioire e abbandonarci a sentimenti di ottimismo e di
speranza: come il sole risorge, anche noi possiamo uscire dalle tenebre
invernali rigenerati. Ci sono tanti modi per celebrare a livello spirituale questa
festa: possiamo decorare la nostra casa con le piante del Solstizio oppure fare
un albero solstiziale. Non un solito albero natalizio, bensì un albero decorato
con tante piccole raffigurazioni del sole. O ancora possiamo alzarci all’alba e
salutare il nuovo sole. Si possono accendere candele o luci per rappresentare
la nascita delle nostre speranze per il nuovo anno. Possiamo anche compiere
una celebrazione più rituale, con l’accensione del ciocco. Anche se non
abbiamo un caminetto in casa possiamo accenderlo nel nostro giardino, o in un
prato insieme ai nostri amici. Si prende un grosso pezzo di legno di quercia e lo
si orna con rametti di varie piante: il tasso (a indicare la morte dell’anno
calante), l’agrifoglio (l’anno calante stesso), l’edera (la pianta del dio
solstiziale) e la betulla (l’albero delle nascite e dei nuovi inizi). Si legano i
rametti al ciocco usando un nastro rosso. Se abbiamo celebrato questo rito
anche l’anno precedente e abbiamo un pezzo non combusto del vecchio ciocco,
accenderemo il fuoco con questo. Si dice: “Come il vecchio ciocco è
consumato, così lo sia anche l’anno vecchio”. Quando il ciocco prende fuoco si
dice: “Come il nuovo ciocco è acceso, così inizi il nuovo anno”. Una volta che il
fuoco è acceso osserviamo le sue fiamme e meditiamo sulla rinascita della luce
e sulla nostra rinascita interiore. Accogliamo le nostre speranze, i nostri sogni
per il futuro e salutiamo questa luce dicendo: “Benvenuta, luce del nuovo
sole!”. Brindiamo con vino brulè (in sostituzione del wassail nord-europeo) e
consumiamo dolci, lasciando una parte del nostro festino per la Madre Terra.
Se sono con noi amici e familiari doniamo loro rami di vischio. Più tardi le
ceneri del ciocco potranno essere sparse nel nostro giardino o nei vasi delle
piante che teniamo in casa per propiziare la salute e la fertilità della
vegetazione.
Un modo simpatico per celebrare il Solstizio di inverno è quello del ramo dei
desideri, un rituale della tradizione celtica bretone. Nove giorni prima del
Solstizio occorre procurarsi un ramo secco di buone dimensioni, pitturarlo con
vernice dorata e appenderlo nell’anticamera della propria abitazione, con un
pennarello e alcune strisce di carta rossa da tenere lì vicino. Chiunque entri in
casa se vuole, potrà scrivere un proprio desiderio su una striscia di carta, che
verrà ripiegata per garantire la segretezza del desiderio e legata al ramo con
un nastrino colorato. Quando nove giorni dopo si accende il fuoco del Solstizio
(nel caminetto di casa o in un falò nel giardino o nel campo) il ramo viene
sistemato sulla legna da ardere e i desideri che sono appesi ad esso bruciando
saliranno col fumo sempre più in alto, finché verranno accolti da entità celesti e
chissà, forse esauditi.
(Feste Pagane Di Roberto fattore)

SAMHAIN LA FESTA DELL’OSCURITÀ

LA FESTA DELL’OSCURITÀ

L’autunno inoltrato, con l’arrivo delle nebbie e dei primi freddi è un altro punto
di svolta della grande Ruota dell’Anno. In questo periodo infatti, al primo
novembre, cade la grande festa celtica di Samhain (pron. souin). Samhain in
gaelico irlandese indica il mese di novembre e il corrispondente gaelico
scozzese Samhuin (pron. sov’en) è la festività di Ognissanti. Questa ricorrenza,
il cui nome significa “fine dell’estate”, rappresenta la controparte di Beltane,
l’arrivo della parte oscura dell’anno, l’inizio stagionale dell’inverno (mentre
quello astronomico è determinato dal Solstizio d’Inverno). Come si è accennato
in precedenza, gli antichi Celti avevano in origine due sole stagioni, Geimredh
che iniziava a Samhain e Samradh che iniziava a Beltane (più tardi furono
aggiunte altre due stagioni, Earrach con inizio a Imbolc e Foghamar a
Lughnasadh). Samhain era il capodanno celtico: infatti, per gli antichi Celti,
l~anno iniziava con la sua parte oscura, allo stesso modo in cui il giorno
iniziava con le ore notturne. Le feste celtiche iniziavano sempre al crepuscolo
del giorno precedente: ancora oggi nei paesi anglosassoni si celebra Hallowe’en
cioè All Hallow’s Eve o Vigilia di Ognissanti (come è stata cristianizzata tale
ricorrenza), così come si festeggia May Eve a Beltane.Nella tradizione celtica,
al pari di altre culture, il giorno che segna la fine di un ciclo e l’inizio di un
altro, non appartiene a nessuno dei due (né al passato né al futuro) ma è un
“tempo oltre il tempo”, una scintilla dell’eternità. Tutti i confini, siano essi
spaziali o temporali, hanno in moltissime tradizioni antiche una valenza
magico-sacrale: un luogo come la spiaggia non appartiene né all’acqua né alla
terra, così l’alba e il crepuscolo non appartengono né al giorno né alla notte.
Mezzanotte è un’ora magica perché è al confine fra due giorni. Questi luoghi e
questi tempi presentano al tempo stesso pericoli e opportunità di conoscenza
perché si può attraverso essi entrare nell’Altro Mondo allo stesso modo in cui
energie dell’Altro Mondo possono entrare nel nostro mondo quotidiano. Il
momento in cui una stagione cede alla successiva è particolarmente
significativo da questo punto di vista, come abbiamo visto a proposito della
festa di Beltane. Samhain è ancora più cruciale perchè è l’inizio di un nuovo
anno, per questo motivo più di ogni altra festa annuale è un momento critico:
non appartenendo al tempo quotidiano, esso costituisce un passaggio fra la
realtà del nostro mondo e altre dimensioni. Se ogni festa costituisce al tempo
stesso un inizio e una fine, Samhain è un momento speciale perché il velo del
tempo si solleva e si può comunicare con gli altri livelli di esistenza in maniera
più chiara che mai. In questo giorno i vivi possono visitare il mondo dei morti e
i morti possono tornare tra i vivi (anzi, ad esser più precisi, tutto il periodo
compreso tra Samhain e il Solstizio d’inverno è un tempo di contatti con spiriti
ed entità dell’Altro Mondo, perché siamo nella “notte dell’anno”). Le porte del
Sidhe (l’aldilà celtico) si aprivano e nè gli umani, né gli esseri fatati avevano
bisogno di un lasciapassare. Nella Féile na Marbh, la “festa dei morti”, si
ritornava al caos primordiale. Secondo un’antica concezione pagana si
festeggiava la vita nella morte con una celebrazione che non aveva nulla di
triste, quasi a ricordare che ogni fine è un nuovo inizio e ogni morte in questo
mondo è una nascita nell’altro mondo. Così da un lato si propiziavano i morti,
dall’altro si dava luogo a disinibite feste che riaffermavano il valore della vita di
fronte all’incombente oscurità. Samhain può sembrare un inizio strano per il
nuovo anno, ma l’esistenza per gli antichi era una ruota, in cui la morte intesa
come fenomeno naturale precedeva necessariamente qualsiasi nuova nascita.
Di tutte queste credenze è rimasta qualche eco nelle celebrazioni cristiane dei
defunti, il 2 novembre, mentre la festa di Samhain fu cristianizzata come
Ognissanti e spostata dalla data originaria del 13 maggio dal papa Gregorio IV
nell’anno 834. La festa fu però estesa a tutto il mondo cristiano solo nel
Samhain, preceduto dalla notte conosciuta ancora oggi in Sco’zia come Nos-
Galan-Geaf (Notte delle Calende d’Inverno) era una festa celebrata dagli
antichi Celti in manjera solenne, con banchetti e festini che potevano durare
anche una settimana intera. Vi era una ragione pratica: in questo periodo il
bestiame proveniente dai pascoli estivi veniva radunato nelle stalle e in base
alle scorte di foraggio, si macellavano tutti i capi in eccesso. La carne che non
poteva essere conservata veniva consumata da tutti i membri della tribù,
perfino dai più poveri che venivano generosamente ospitati dai nobili e dai
capi. Anche tutti i prodotti della terra dovevano essere raccolti entro il 31
ottobre: ciò che rimaneva era abbandonato ai Pùca, folletti dispettosi e
malvagi.
Infatti Samhain era anche il giorno che celebrava la fine dell’ultimo raccolto
dell’anno, quello delle mele, frutto sacro in molte tradizioni. Altro raccolto,
celebrato dai Celti, era quello delle nocciole, frutto simbolo della sapienza
magica. Non è un caso se in molte leggende mele e nocciole rappresentano i
frutti dell’Altro Mondo, donati agli umani da divinità o da esseri fatati! Il
nocciolo era sacro ai Celti, simbolo di saggezza e di segreta conoscenza: una
leggenda narrava che nove noccioli sacri circondavano la sorgente di Connlas,
in Irlanda, portando frutti e fiori nello stesso tempo. In molte culture, non solo
quella celtica, il legno di nocciolo era il più indicato per bacchette magiche o
rabdomantiche.
In quanto all’altro frutto di Samhain, tra i frutti che la stagione autunnale ci
offre nessuno è più presente nei miti e nelle tradizioni dell’Occidente quanto la
comune mela. Sicuramente uno dei primi frutti coltivati in Europa (resti fossili
sono stati rinvenuti in antichi insediamenti del Neolitico), la mela riassume in
sé molti significati simbolici, che fanno capo alla triade di amore - conoscenza -
morte.
La mela rappresenta innanzitutto l’amore: in molti luoghi gettare una mela
ad una persona era considerato una dichiarazione d’amore. Nella mitologia
greca il giovane principe Paride doveva offrire una mela alla Dea più bella:
scelse Afrodite, come era ovvio e anche logico, dato che il frutto era sacro a
quella Dea.
Ma la mela è sempre stata anche un frutto di conoscenza: conoscenza
proibita come nel caso della Bibbia, ma più spesso come conoscenza da
“coltivare”. Infatti nella tradizione celtica il legno del melo è uno dei nove Legni
Sacri dei Druidi, usato per accendere i fuochi delle cerimonie sacre. Lo stesso
albero raffigura poi una delle lettere dell’alfabeto arboreo druidico, la Q (Quert
è il nome del melo in gaelico). La mela nasconde al suo interno un simbolo
sacro: se si taglia il frutto orizzontalmente (e non verticalmente come avviene
di solito) si vedrà al centro una stella a cinque punte, la cui simmetria riflette la
Sezione Aurea del numero sacro ai pitagorici. Il pentagramma o pentalpha è un
simbolo presente in numerose tradizioni.
Non mancano poi i miti che collegano la mela all’immortalità. La Dea nordica
Idhunn dispensava questi frutti agli altri Dei, consentendo loro di conservare
l’eterna giovinezza.
La mela possiede tutti questi significati simbolici perché è un frutto che
rappresenta al tempo stesso la morte e l’immortalità. Per quanto possa
sembrare strano i suoi semi contengono una sostanza chiamata cianide tale da
uccidere un adulto che ne mangi mezza tazza. Le favole ci raccontano di
personaggi che cadono in un sonno così profondo da essere scambiato per
morte: chi non ricorda la storia di Biancaneve?
Ma il mito unisce sempre un significato al suo opposto e così la mela è anche
frutto di immortalità. In quanto tale essa è il frutto magico dei regni dell’Altro
Mondo, offerto dagli esseri fatati agli umani o ricercato dagli eroi che intraprendono
viaggi lunghi e pericolosi.
Nel mito greco la mela è il frutto del Giardino delle Esperidi, mentre nelle
fiabe è il frutto che cresce nel giardino della Regina delle Fate. Il melo è
l’albero sacro di Avalon, il cui nome significa appunto “Isola delle mele”.
Del resto, questo frutto domina l’intera mitologia celtica:
cibo sacro dei Tuatha De Danann (gli Dei dell’antica Irlanda) la mela fruttifica
con noci e ghiande contemporaneamente sui rami dei cinque alberi sacri
d’Irlanda. Un ramo di melo, recante allo stesso tempo germogli, fiori e frutti,
era il Ramo d’Argento che consentiva al suo possessore di entrare nel regno
degli Dei. Un altro mito irlandese narra di come un guerriero si avvicinò un
giorno alle mura della capitale Tara recando con sé un ramo d’argento con tre
mele capace di emettere una dolcissima musica che faceva addormentare
chiunque, tranne l’eroe Cormac; il guerriero era il Dio Manannan mac Lir,
sovrano di Emain Ablach, la “Terra delle mele” (cioè di nuovo Avalon).
Un frutto così prezioso tuttavia nasconde pericoli. Nella antica ballata inglese
“Thomas il Rimatore”, la Regina delle Fate mette il guardia il poeta Thomas dal
cibarsi delle mele che crescono nei giardini fatati: mangiare il cibo dell’Altro
Mondo significa infatti non poter più fare ritorno nel mondo degli esseri umani!
Di tutti questi antichi significati è rimasta qualche eco nel folklore europeo:
le mele sono usate negli incantesimi per tenere unita una coppia o trovare
l’anima gemella (l’amore), il legno del melo si utilizza per costruire talismani
per la longevità (eterna giovinezza e immortalità), mentre un ricordo del cibo
degli dei e delle fate permane nel Nord Europa sotto forma di sidro (vino di
mele) o di “wassail” (sidro bollito con spezie e mele intere), bevande consumate
durante il Solstizio d’Inverno o ad Halloween come augurio di
prosperità.Come mìelle altre feste celtiche amiche a Samhain il fuoco aveva un
ruolo importante, considerato come simbolo della scintilla della vita futura che
rifiorirà in primavera. Alla vigilia della festa tutti i fuochi delle case venivano
spenti e la gente si raccoglieva sulle cime delle colline, dove era stato
preparato un grande falò. Tutti attendevano in silenzio e nell’oscurità che
trascorresse l’ora fatale tra le stagioni e che gli spiriti si fossero allontanati. Poi
il sacro fuoco era acceso dai druidi e, passato il pericolo, la gente festeggiava
con grande gioia. All’alba ciascuno avrebbe preso una torcia dal falò per
riaccendere il proprio focolare domestico.Il fuoco di Samhain era anche un faro
e una guida per le anime perdute, le quali potevano usare la sua luce per
andare o tornare nel loro luogo di riposo.Echi dei fuochi di Samhain
permangono nelle candele collocate all’interno di zucche intagliate a forma di
testa umana. Forse un lontano ricordo dei crani collezionati dai guerrieri Celti?
Queste zucche (ma in molte zone anticamente si utilizzavano anche rape)
prendono il nome di Jacko-lantern, nome dato anche al fenomeno naturale
della luminosità che appare nel cielo orientale dopo il tramonto. Se volessimo
cercare un ulteriore significato simbolico, possiamo supporre che dal momento
che l’ovest è la direzione associata alla morte, l’est simboleggia la luce della
sopravvivenza spirituale.Ancora oggi molte tradizioni di Samhain sono sopravvissute,
specie nei paesi anglosassoni. Numerosi sono gli echi pagani nella
festa di Halloween negli Stati Uniti, dove gli spiriti dei defunti e gli esseri fatati
sono interpretati da bambini mascherati che passano di casa in casa potessero
cercare vendetta o comunque punire il comportamento irrispettoso dei viventi.
Di notte a Samhain si evitava di uscire se non per accendere il sacro fuoco.
D’altro canto i morti rappresentavano potenze benefiche da propiziarsi per far
crescere i semi del nuovo raccolto e la propiziazione era una faccenda seria
quando la sopravvivenza dipendeva da essa.. I defunti erano infatti assimilati
ai semi. Nell’antichità l’inverno era la stagione dei morti perché era una
stagione dura: molte persone sarebbero morte di fame, freddo o malattie
allora incurabili, la morte era sempre qualcosa di molto vicino. Anche la vita
vegetale moriva, ma il suolo era visto come il corpo della Madre Terra, dove i
buchi per i semi erano il suo grembo. I semi giacevano nella terra e da essi
nasceva nuova vita. Nel Neolitico i defunti venivano sepolti in posizione fetale,
ad aspettare una nuova nascita dal grembo della Dea. Più tardi vennero sepolti
in tumuli che avevano camere sepolcrali a forma di grembo. Questi tumuli
vennero considerati in seguito le “colline cave”, dimore di spiriti e di fate, da
cui uscivano appunto a Samhain. Ma probabilmente i costruttori di tumuli
avevano inteso costruire non tanto delle tombe bensì dei luoghi di iniziazione,
nei quali dovevano avere luogo solenni ceriomnie nei periodi delle feste sacre.
E’ possibile supporre che gli iniziati si sottoponessero ad una sorta di morte
rituale ed entrassero nei tumuli che erano gli uteri della madre terra. Al
sorgere del sole forse gli iniziati uscivano risalendo gli stretti corridoi dei
monumenti, e ritornavano nel mondo come nuovi esseri, “nati due volte”. Sui
tumuli e nelle camere sepolcrali, come a Newgrange, appare il simbolo della
doppia spirale. Nelle antiche civiltà essa era un simbolo di iniziazione. La
spirare verso l’interno rappresenta la morte dell’iniziato, il centro è il luogo di
rigenerazione e la spirale verso l’esterno è la rinascita. Allo stesso modo si
pensava che il Dio del Sole o del Grano avesse affrontato il viaggio iniziatico
nel regno dell’oscurità, dove ora egli regnava come sovrano, il Re Oscuro o Re
dell’Agrifoglio. Anche la Dea della Terra appariva una potenza oscura, come la
celtica Cailleach (la “Velata”, dal gaelico irlandese caille - velo -), il cui animale
totemico era il corvo che si nutre di cadaveri. La Vecchia Dea piange il suo
amante, il Dio della Vegetazione che se ne è andato nell’Altro Mondo, ma che
tuttavia ha fecondato il suo grembo con il seme della nuova primavera. La Dea
Oscura è quindi anche come la madre della vita futura e il suo calderone
magico altro non è che il grembo della rinascita.Ma Samhain non è solo un
periodo di morte e di iniziazione, ma anche di divinazione. L’aspetto divinatorio
di questa festa è favorito dal clima psicologico della stagione, che incoraggia a
rivolgere lo sguardo verso la propria interiorità, e viene facilitato dalla
possibilità di contattare altre dimersioni dell’esistenza. Tuttavia nell’antichità la
divinazione era un cosa seria, resa necessaria dall’angoscia provocata
dall’approssimarsi dell’inverno con le sue durezze. Quindi le arti mantiche
erano appannaggio di persone esperte, sciamani, streghe, sacerdoti. Nel corso
dei secoli, però, quella che una volta era l’arte dei druidi, divenne sempre più il
gioco preferito dalle ragazze nubili in cerca di marito. Così, nel Donegal
(Irlanda) le ragazze lavavano la propria camicia da notte per tre volte in acqua
corrente, appendendola ad asciugare di fronte al focolare nella mez
zanotte della vigilia di Samhain, e poi lasciando aperta la porta di casa. Si
credeva che il futuro sposo sarebbe stato costretto a entrare in casa. Altri
metodi di divinazione consistevano nel fissare le scintille o le fiamme del fuoco
di Samhain e trarre auspici.
Anche i frutti di Samhain , noci e mele, ricoprivano un ruolo importante nelle
tecniche divinatorie; possedendo anche un valore simbolico di fertilità (le noci
sono i testi-coli, la mela è il frutto d’amore) erano inevitabilmente collegati alle
profezie amatorie. Per fare un esempio, le ragazze “battezzavano” alcune
nocciole con i nomi dei loro pretendenti e dopo le arrostivano sul fuoco: la
prima nocciola che saltava era quella del futuro sposo. Oppure si tagliava una
mela in nove spicchi uguali, se ne mangiavano otto e si gettava il nono al di
sopra della spalla sinistra, girandosi velocemente. Si credeva che la ragazza
avrebbe intravisto le fattezze del futuro marito.
I giochi di Samhain avevano però anche un significato sacrificale: In Galles
una volta che l’ultima scintilla del fuoco di Samhain era spenta, tutti
improvvisamente si afferravano le gambe gridando: “La scrofa nera si prenda
l’ultimo!”; nella mitologia celtica del Galles la scrofa nera era Cerridwen, di
nuovo la Vecchia Dea nel suo aspetto oscuro. Tale usanza forse è il lontano
ricordo di antichissimi sacrifici rituali dove veniva probabilmente ucciso in
maniera rituale il rappresentante umano del re o del Dio, come narrano
parecchi miti.
La pianta sacra di Samhain è il tasso, pianta legata per tanti aspetti alla
morte. Infatti è un albero con corteccia e foglie altamente velenosi e il suo
legno era anticamente usato per fabbricare archi da guerra. Per questi motivi
ha sempre ornato tanti cimiteri e presso gli antichi veniva usato spesso nelle
pire funerarie. Ma paradossalmente rappresenta anche la Vita nella Morte
perché è una pianta sempreverde, con un legno resistentissimo, e può vivere
fino a 2000 anni e oltre. Ciò fà del tasso un simbolo di immortalità.
CELEBRARE SAMHAIN
In questo periodo cominciano gli oscuri, freddi giorni invernali. Nelle
campagne c’è poco lavoro da fare, le foglie cadono dagli alberi e i giorni si
accorciano sensibilmente. I poteri naturali della crescita e della luce declinano
ed entrano nel loro lungo sonno invernale. Anche gli animali si preparano al
letargo. Come loro anche noi dovremmo rallentare le nostre attività e passare
più tempo in casa. Se si ha un caminetto in casa è bello accalcarci intorno al
fuoco insieme ai nostri amici e raccontare storie. Approfittiamo di questo
periodo dell’anno, in cui la Natura muore apparentemente, ritirandosi in sé
stessa ~ome i semi si ritirano nel terreno, per raccoglierci in noi stessi
intraprendendo viaggi interiori nella nostra coscienza. Prestiamo attenzione ai
sottili mutamenti del corpo, all’adattamento biopsichico del nostro organismo ai
brevi e freddi giorni invernali: la mente inizia a scivolare dall’esteriorità
all’interiorità. Ora ètempo che la nostra attenzione passi dal lato materiale a
quello spirituale. E’ tempo di riflessione, di viaggi interiori per potere scoprire
quegli aspetti di noi stessi che necessitano di essere cambiati prima che possa
iniziare una nuova vita. Come gli antichi iniziati dobbiamo discendere nel
mondo inferiore, ripercorrendo il viaggio delle divinità stagionali: seguiamo la
spirale interiore dell’anno vecchio fino ad arrivare al nostro centro interiore e a
questo punto ripercorriamo la spirale all’esterno portando fuori il nostro
potenziale di vita e creatività che sarà manifesto nel nuovo anno, al tempo
stesso conservando in noi la saggezza imparata nel passato.E’ un periodo
adatto a tutti i tipi di meditazione e tradizionalmente propizio alle arti
divinatorie, essendo un momento di passaggio in cui si incontrano passato,
presente e futuro. Possiamo approfittarne per imparare qualche tecnica
divinatoria, come i tarocchi 0 le rune.Inoltre, siccome le energie di questo
tempo hanno a che fare con la morte, possiamo rivolgere i nostri pensieri alle
persone che ci hanno lasciato. Si dice che gli spiriti possono essere ora
contattati e consultati ma è preferibile (se crediamo in una vita nell’aldilà) non
disturbarli; è meglio prestare attenzione ai piccoli messaggi che ci possono
inviare (sogni, ricordi improvvisi, ecc,).E’ infatti tempo di riflessione, tempo di
considerare l’anno passato e di confrontarci con quel fenomeno della vita su cui
non abbiamo nessun controllo: la morte. Per celebrare degnamente il cerchio
completo dell’esistenza dobbiamo riconoscere la realtà della morte e del
declino fisico come eventi naturali, non come qualcosa da ignorare o da
nascondere. A queste energie ora dobbiamo tributare omaggio ma dobbiamo al
tempo stesso ricordare la nuova vita che sopraggiungerà. Il Re dell’Agrifoglio ci
insegna che la morte è una fine ma anche un inizio.Teniamo presente la
lezione degli antichi Celti e non indugiamo in tristezze! Invitiamo a cena i nostri
amici, vestiamoci da streghe e fantasmi, decoriamo le nostre case con le
zucche di Halloween e, se ci va, celebriamo i giochi tradizionali cercando di
afferrare con la bocca le sacre mele appese ad un filo o galleggianti in una
bacinella di acqua! Possiamo divertirci a intagliare e scavare zucche e rape,
inserendo in esse candele per espone alle finestre o sui balconi delle nostre
case.E’ infine un momento in cui al fine di favorire la nostra rigenerazione, si
possono ritualmente abbandonare tutte le cose del passato che dobbiamo o
vogliamo lasciare, abbandonare (lasciar morire) le cose che non ci piacciono
nella nostra vita. Possiamo quindi scrivere queste cose su foglietti di carta per
bruciarli nel nostro fuoco di Samhain, che può anche essere una candela di
colore nero o comunque scuro. Potete dire per tre volte una frase del tipo: “La
cosa tal dei tali è venuta in essere, la cosa tal dei tali ha la sua stagione, e la
cosa tal dei tali se ne va!”. Poi, si brucia il foglietto di carta nella
fiamma.Possiamo poi, più semplicemente, dare via o bruciare quegli oggetti
che non ci piacciono più. E’ tempo di abbandonare le cattive abitudini, di
cambiare la propria vita! Infatti, prima che la nuova crescita possa iniziare, il
suolo deve essere fecondato con i resti dei raccolti dell’anno precedente e con i
rifiuti (se non ci fossero morte e decomposizione non ci sarebbe la vita).Un
rituale senza dubbio più complesso, ma che vale la pena di compiere, può
essere eseguito nelle nostre case. Al tramonto del sole, la vigilia di Samhain, si
spengono tutte le luci di casa e ci si mette in piedi davanti ad una candela nera
o scura. Sentiamo l’anno vecchio che sta per morire, ricordiamo tutte le cose
buone o cattive che avete vissuto, ricordiamo le persone a voi care che non ci
sono più, e quando ci sentiamo pronti si accende la candela dicendo:“Accolgo
con questa luce gli spiriti di coloro che se ne sono andati prima di me. Siate i
benvenuti !“. Prendiamo una coppa o un bicchiere pieno di vino e beviamone
un po’, dopo aver detto: “Ai morti!”, lasciandone alcune gocce. Possiamo poi
accendere una candela speciale per ciascuno dei vostri amici o parenti morti:
possono essere anche candele bianche o colorate. Per accenderle si usa la
candela scura, e con la stessa candela accendiamo anche le lanterne-zucche di
Hallowe’en, se ne abbiamo fabbricata qualcuna. Dopo aver fatto questo si
prende un piatto o un vassoio dove avremo messo del pane o dei dolci (potete
usare i “dolci dei morti” se esistono ricette tipiche nella vostra zona) e
invitiamo gli amici invisibili a condividere con noi il cibo. Lasciamone sempre
qualche porzione. Poi, prendendo la candela scura, andiamo in tutte le stanze e
accendiamo tutte le luci, magari solo per pochi minuti. Andiamo fuori dalla
porta d’ingresso e gettiamo una moneta: dovrebbe essere d’argento ma una
comune moneta andrà bene ugualmente... Diciamo: “Denaro sul pavimento,
denaro sotto la porta” e lasciamo la moneta sul pavimento per un mese,
facendola magari scivolare sotto lo zerbino. Essa porterà fortuna alla nostra
casa.Meditiamo sul significato di questa festa e lasciamo aperta la porta di casa
per fare entrare i nostri amici invisibili; lasciamo loro cibo e bevande.
(Feste Pagane Di Roberto fattore)

MABON-EQUINOZIO DI AUTUNNO IL TRAMONTO DELL’ANNO

EQUINOZIO
DI AUTUNNO
IL TRAMONTO DELL’ANNO

All’Equinozio di Autunno il sole, nel suo cammino apparente nel cielo,
incrocia nuovamente l’equatore celeste e ancora una volta nel corso dell’anno
giorno e notte si equivalgono nella loro durata, ma stavolta il percorso segue
una direzione opposta a quella dell’equinozio primaverile, passando
dall’emisfero settentrionale dello zodiaco a quello meridionale. Il sole scende
letteralmente agli “inferi” e le tenebre cominciano a prevalere sulla luce. In
molti circoli druidici contemporanei l’Equinozio autunnale viene chiamato Alban
Elued, “Luce dell’Acqua” in gaelico:
infatti l’acqua raffigura l’oceano cosmico in cui si immerge il sole nella parte
calante dell’anno, la misteriosa profondità marina che diviene sempre più scura
man mano che i giorni si accorciano.
Gli antichi concepivano la terra come galleggiante nell’acqua (o meglio
indicavano col nome di terra la regione dello spazio sovrastante la fascia
dell’equatore celeste e acqua quella sottostante) e il Solstizio estivo era
connesso con le spiagge, il luogo di mutamento ed equilibrio tra l’anno
crescente e quello calante al punto più alto del sole. L’acqua è la sfera
dell’Equinozio autunnale, l’anno discendente nell’oceano.E’ un momento di
passaggio, critico come tutti i momenti sacri dell’anno di cui abbiamo parlato,
quando la barriera tra il mondo visibile e quello invisibile si fa più sottile. Gli
antichi lo consideravano un periodo propizio ai riti misterici. Si celebravano ad
esempio quelli di Mithra, signore e animatore del cosmo e allo stesso tempo
mediatore fra le divinità e gli esseri umani, così come l’asse degli equinozi è
intermediario tra le due fasi dell’anno. Mithra veniva spesso raffigurato in
mezzo a due portatori di fiaccola, uno (Cautes) con la torcia sollevata in alto a
simboleggiare l’equinozio di primavera e l’altro (Cautopates) con la torcia
abbassata a indicare l’Equinozio di Autunno. Più tardi le funzioni di Mithra vennero
assunte dall’arcangelo Michele, la cui festa, insieme a quella degli altri
due arcangeli Gabriele e Raffaele ricorre il 29 settembre. Il periodo equinoziale
di autunno è chiamato appunto Michaelmas nei paesi anglosassoni.Michele è
arcangelo di fuoco e di luce, alter ego e gemello di Lucifero:ora è il momento di
congedarci dalla luce.Ma il mese di settembre era anche il periodo in cui si
svolgevano i Grandi Misteri di Eleusi. I rituali eleusini, basati sul simbolismo del
grano, celebravano il mito di Demetra e sua figlia Perséfone: il loro momento
culminante era la presentazione agli iniziati di una spiga di grano
accompagnata dalle parole “nel silenzio è ottenuto il seme di saggezza”. Nel
mito classico Persefone venne catturata da Ade, Dio degli Inferi. Sua madre
Demetra, Dea del Grano, la cercò ovunque lamentando la perdita della figlia e
rifiutando di fare fiorire e fruttificare la terra. Il suolo divenne spoglio e
desolato, e l’umanità invocò il soccorso degli dei. Alla fine, stanca, Demetra
sedette per nove giorni e nove notti e gli dei le fecero sbocciare papaveri
tutt’intorno. Respirando il loro profumo soporifero Demetra si addormentò e
nel frattempo gli dei riuscirono ad ottenere da Ade il ritorno di Persefone. Ma
siccome la giovane Dea aveva mangiato tre semi di melograno, cibo dell’Altro
mondo offertole da Ade, fu destinata a trascorrere tre mesi ogni anno nel
mondo infero, mesi durante i quali l’inverno cadeva sulla terra. Persefone era
discesa agli inferi come il sole discende negli inferi celesti, e come il sole ne
sarebbe ritornata con la promessa della rigenerazione della Natura.Se
Lughnasadh è l’inizio del raccolto, rappresentandone l’aspetto sacrificale, il
tema stagionale dell’Equinozio è la fine del raccolto, il suo completamento. Ma
è anche il momento del secondo raccolto dopo quello dei cereali:quello della
frutta e dell’uva. Dioniso, nato secondo certi miti proprio dalle nozze di
Persefone e Ade-Plutone, è il dio della vite e dell’ebbrezza. Il processo che
conduce alla fabbricazione del vino era per gli antichi così misterioso e il
prodotto finale così sacro (come ogni altra sostanza capace di indurre
modificazioni nello stato di coscienza) che ogni fase della raccolta dell’uva
veniva accompagnata da rituali. Il vino pressato veniva poi messo in botti dove
il succo alcolico passava attraverso una seconda fermentazione fino a diventare
vino.Questo processo era per gli antichi affine alla trasformazione spirituale
che ha luogo durante le iniziazioni. Sembra quasi che la fermentazione nel buio
delle cantine sia immagine speculare alla trasformazione che avveniva negli
iniziati durante i riti misterici nel buio dei santuari sotterranei. Non per nulla
l’alcool è stato chiamato “spirito”... Se il vino dominava i culti misterici
mediterranei, nelle Isole Britanniche si celebrava John Barleycorn, lo “spirito”
del grano che rinasce nel whisky, l’acqua di vita” dei Celti. I Celti chiamavano
l’Equinozio autunnale anche col nome di Mabon, il giovane dio della
vegetazione e dei raccolti. Mabon, indicato col nome di Maponus nelle iscrizioni
romano-britanne, è il figlio di Modron, la Dea Madre: rapito tre notti dopo la
sua nascita, venne imprigionato per lunghi anni fino al giorno in cui venne
liberato dal Re Artù e dai suoi compagni. Il suo rapimento è l’equivalente celtico
di quello di Persefone: un simbolo evidente dei frutti della terra che sono
immagazzinati in luoghi sicuri e poi sacrificati” per dare la vita agli uomini.In
questo periodo, un po’ ovunque si tengono feste del raccolto, con abbondanza
di cibo e di bevande. C’è grande sollievo, ora che le messi e i frutti sono stati
raccolti e immagazzinati. Un tempo, il raccolto costituiva la riserva di provviste
da conservare per il sostentamento durante l’inverno. Le divinità della terra
venivano ringraziate per i loro doni, auspicando un futuro ritorno
dell’abbondanza negli anni successivi.
Queste celebrazioni avevano un atmosfera di dolce malinconia. Il Dio del Grano
era morto, così come moriva il Dio del Sole. Egli viaggiava ora nell’Altro
Mondo, discendendo agli inferi per addormentarsi nel grembo della Dea Madre,
da dove sarebbe rinato al Solstizio d’Inverno. Più che una morte dunque, si
trattava di un lungo sonno. Il poeta e scrittore Robert Graves, parlando degli
aspetti della Grande Dea ci dice che se all’Equinozio di Primavera lei si
presentava sotto l’aspetto dell’iniziazione, all’Equinozio di Autunno era nel suo
aspetto di riposo, il riposo che attendeva gli iniziati dopo le fatiche della vita.
La malinconia era dunque dolce perché c’era la consapevolezza di una rinascita
a una diversa condizione di vita. I due temi stagionali del sole e del raccolto
condividevano con l’umanità un universale ciclo di nascite, morti
erigenerazioni.Nelle feste del raccolto aveva un posto d’onore un oggetto
simbolico che abbiamo incontrato più volte nelle feste sacre: la Bambola del
Grano, formata dalle ultime spighe raccolte e legate con un filo solitamente
rosso. La bambola, se non veniva sepolta nei campi a scopi propiziatori, era
conservata fino alla fine del raccolto dell’anno successivo. Essa veniva
chiamata a volte “Ragazza dell’edera”, perché l’edera, che rimane verde
durante l’inverno, è il simbolo della vita che continua: crescendo a spirale
appare come un simbolo di rinascita (la vita che ritorna ciclo dopo ciclo) e
come pegno di rinascita del Dio, sia come nuovo sole al Solstizio, sia come
nuovo raccolto in primavera.La pianta sacra dell’Equinozio di Autunno è la
mora selvatica. In molti luoghi si dice che le more non dovrebbero essere più
mangiate dopo la fine di settembre, perché “il diavolo le guasta”. Ciò è legato
ad antiche usanze secondo le quali i prodotti della terra non raccolti nel loro
momento stagionale appartengono agli spiriti di Natura: in realtà si trattava
delle offerte lasciate alle divinità.La mora selvatica è un sostituto della vite nel
simbolismo agrario dei paesi nordici. Robert Graves aveva ipotizzato l’esistenza
di un antico calendario arboreo nel quale l’Equinozio autunnale viene prima
della fine del “mese della Vite” e dell’inizio del “mese dell’Edera”, due piante
che crescono a doppia spirale, simbolo di rinascita come abbiamo già visto.
Sempre secondoGraves il cigno è l’uccello dell’Equinozio in quanto simbolo
dell’immortalità dell’anima e guida dei morti nell’aldilà (Apollo, dio solare
greco, vola su un carro trainato da cigni fino alla sua nordica dimora invernale,
tra gli Iperborei).
CELEBRARE L’EQUINOZIO DI AUTUNNO
Gli equinozi, tempi di attività sospesa, sono periodi in cui le persone
cambiano i loro ritmi vitali, adattandoli ad una fase stagionale diversa. Per
questo motivo sono epoche di turbolenza fisica e psichica.Anche
meteorologicamente sono momenti in cui le masse di aria calda si raffreddano
provocando le cosiddette tempeste equinoziali, che i navigatori conoscono fin
troppo bene. E’ necessario conoscere il significato e l’importanza di queste fasi
naturali così che la loro turbolenza ci dia energia invece di svuotarci. Tuttavia,
se durante l’Equinozio di Primavera si andava verso una stagione di crescita e
di azione, stavolta ci si muove verso una stagione di declino. Fisicamente
quindi, sarà opportuno concederci pause di riposo, dopo lo stress della calura
estiva e di vacanze spesso frenetiche, prima di affrontare i rigori dell’inverno.
Se si ha la possibilità, ci si può concedere una breve vacanza settembrina a
scopo esclusivamente riposante. Sono molto indicati in questo periodo anche
esercizi di rilassamento e di respirazione. Ci possiamo concedere attività fisiche
non particolarmente impegnative:
questo è il periodo ideale per passeggiate ed escursioni in campagna e in
collina, anche per salutare la Natura che si prepara al suo riposo
invernale.L’immagazzinamento e la trasformazione dei prodotti della terra
segna il completamento di un ciclo vitale che si riferisce non solo ad un evento
vegetale e naturalistico esteriore ma, come abbiamo più volte ribadito, anche
alla nostra esistenza umana. Se il tema cosmico del declino della luce ci spinge
alla riflessione, all’introversione, all’entrare in noi stessi dopo la frenesia
primaverile ed estiva, il tema vegetale e agrario ci suggerisce un
atteggiamento di ringraziamento:per i frutti della terra e per le esperienze
dell’anno trascorso, le lezioni imparate che sono il raccolto delle nostre
esistenze.Infatti, psicologicamente è tempo di riflessione e di contemplazione,
di ringraziamento per i frutti della terra e per le esperienze che abbiamo avuto
durante l’anno. Uno dei temi su cui possiamo meditare, ispirandoci
all’immagazzinamento dei frutti.della terra, riguarda tutto quello che è
avvenuto nella nostra vita. Prendiamoci un po’ di tempo per riflettere su quello
che ci è accaduto e su quello che abbiamo raccolto o imparato durante
l’anno.Approfittiamo quindi di questo periodo per fare “il punto della
situazione”: possiamo a questo scopo trascrivere in un diario tutto quello che
siamo riusciti a realizzare, come pure le cose che non siamo riusciti a fare
secondo i nostri progetti e i motivi che ci hanno impedito la loro
realizzazione.Come ogni festa dell’anno anche l’Equinozio va visto come una
piccola iniziazione ad un nuovo livello di consapevolezza.Ora la parte alta
dell’anno è terminata ed è tempo di volgersi all’interiorità. Noi entriamo nella
parte declinante della Ruota dell’Anno: è tempo di viaggiare nell’oltremondo e
di esplorare il sé, incontrando quegli aspetti di noi che ostacolano la nostra vita
interiore. Entriamo nel tempo del buio, ma privati della luce esteriore, possiamo
incontrare l’illuminazione interiore. Così, riflettiamo sui misteri della
trasformazione attraverso la morte e prepariamoci per l’arrivo dell’inverno e
alla nostra trasformazione interiore. Ricordiamoci soprattutto che come la
morte del Dio della Vegetazione significa trasformazione, rigenerazione e
rinascita, così anche noi rivedremo la luce rigenerati e rinnovati.Quindi
possiamo dedicare il periodo dell’Equinozio alla meditazione, alla
visualizzazione guidata, alla riflessione sui nostri sogni. E’ un buon momento
per dedicarci a tutte quelle attività che ci pongono a contatto con il nostro
inconscio.Se ce la sentiamo e soprattutto se abbiamo l’occasione di incontrare
validi maestri, possiamo praticare tecniche sciamaniche, come quelle dei Nativi
Americani, particolarmente adatte ai viaggi nei mondi spirituali. E’ una buona
cosa ringraziare la Grande Madre Terra con un piccolo festino: invitiamo i
nostri amici, offriamo loro i frutti di stagione e ammiriamo il fresco tramonto di
settembre ricordando i giorni trascorsi insieme nell’anno! Possiamo decorare la
tavola con foglie, noci e frutti di stagione.Se desideriamo fare qualcosa di più
complesso per celebrare questo periodo dell’anno possiamo celebrare un
piccolo rito di ringraziamento, all’aperto o al chiuso, come
desideriamo.Sarebbe preferibile il tardo pomeriggio, osservando il sole che
tramonta. Si può accendere una candela blu: è il colore dell’oceano cosmico in
cui tramonta il sole, il colore sacro dell’Occidente. Diciamo “Ti salutiamo Dio
Sole easpettiamo la tua rinascita”. Su un tavolo o su un altro ripiano possiamo
aver disposto frutti di stagione e una coppa di vino. Dopo averli presentati al
sole che tramonta diciamo:“Ti ringraziamo Madre Terra per i doni che ci hai
dato”. Meditiamo quindi sui temi di questa stagione e sulle buone cose che
abbiamo ottenuto nelle nostre vie durante l’anno trascorso. Poi consumiamo i
frutti e beviamo il vino, ricordandoci, come abbiamo imparato a fare, di
lasciarne una parte per la terra e le sue creature.
(Feste Pagane Di Roberto fattore)

LUGHNASADH LA FESTA DEL GRANO

LUGHNASADH
LA FESTA DEL GRANO

Uno dei più importanti eventi dell’anno agrario nell’antica Europa era ed è
ancora il raccolto del grano. Risalente all’Età Neolitica, la coltivazione dei
cereali ha letteralmente plasmato tutte le civiltà europee e mediterranee. La
farina e il pane erano letteralmente la vita per le antiche popolazioni.
La mitologia più antica narrò di due entità femminili, madre e figlia, che
rappresentavano forse il raccolto maturo e il futuro raccolto da seminare,
entrambe simboleggiate dall’ultimo covone mietuto quasi a raffigurare la loro
somiglianza e identità. Il folklore europeo ne parlò come la Vecchia del Grano,
il vecchio spirito o la vecchia divinità che moriva al momento del raccolto per
incarnarsi nella Fanciulla del Grano, raffigurata come una bambola formata con
le spighe dell’ultimo covone e conservata come un talismano per tutto l’anno.
In epoche precristiane queste due figure venivano chiamate Demetra e
Persefone, o Cerere e Proserpina
Ma non era solo una storia di raccolti e di vegetazione quella che raccontavano
gli antichi miti. No, era una storia di morte eresurrezione che coinvolgeva tutti
i regni della natura, compreso quello umano. I misteri iniziatici in onore di
Demetra e Persefone che si tenevano ogni anno nell’antica città greca di Eleusi
rivelavano che la morte è solo un passaggio verso una diversa esistenza. Così
come Persefone ritornava dal regno dei morti, anche gli iniziati
potevanoaspirare alla resurrezione. Il chicco di grano muore ma per rinascere
come nuova spiga.Più tardi la divinità del grano assunse aspetto maschile, il Re
o Dio del Grano, figlio o amante delle grandi dee. Tali furono Tammuz e Adone,
il primo riportato in vita dalla sua sposa Ishtar, il secondo destinato a
trascorrere metà dell’anno con la Regina dell’Oltretomba e l’altra metà con
Afrodite, dea dell’amore e della fertilità. Entrambi erano giovani dei che
morivano per risuscitare a nuova vita, come il grano. Suggerisce nulla tutto
ciò? C’era un bosco sacro dedicato ad Adone nei pressi di Betlehem (“Casa del
Pane”)...
In molti templi neolitici dell’Europa orientale sono state rinvenute statuette
di donne-uccello (la Dea Uccello) e statuette umane che preparano il pane. Ciò
richiama i motivi del tempio di Afrodite a Pafo, nell’isola di Cipro dove Afrodite
e Adone furono amanti.
Nei paesi celtici del Nord Europa il raccolto dei cereali avveniva più tardi e
prima delle dure fatiche del raccolto ci si concedeva una pausa di festa,
contrassegnata il l~ agosto dalla celebrazione di Lughnasadh (pron. Luunasa),
la “commemorazione di Lugh” (nasadh commemorazione o assemblea). In
gaelico irlandese Lunasa indica il mese di agosto, in gaelico scozzese la
ricorrenza è chiamata Lunasda. L’Irlanda è una terra dove le usanze di
Lughnasadh sono sopravvissute fino ai nostri giorni.Nei secoli in cui la religione
cattolica era perseguitata dai Protestanti, le masse rurali si radunavano su
cime di colline o vicino a sorgenti per celebrare i momenti di passaggio
dell’anno, obbedendo a tradizioni molto più antiche del Cristianesimo. L’Irlanda
ha ancora un cuore pagano,basti pensare al film “Ballando a Lughnasa” dove
tra l’altro è mostrato anche un festino intorno a un falò in cima ad un
colle...Lugh, dio del fuoco e della luce, può avere derivato il suo nome dalla
stessa radice del latino lux, e pare sia una più tarda e più sofisticata versione
di Bel/Beli/BalOr che regna su Beltane. Lugh è legato alle popolazioni agricole
che si unirono a quelle pastorali: Beltane è una festa pastorale, Lughnasadh è
una festa più agraria. Lugh nelle leggende irlandesi era un capo dei Tuatha Dé
Danann, il “Popolo della Dea Dana”. Nella guerra contro i precedenti abitatori
dell’irlanda, i Fomori, egli scambiò la vita di Bres, capo nemico, con i segreti
dell’agricoltura: aratura, semina, raccolto. Il re dei Fomori era Balor (l’antico
Bel), ritenuto nonno o padre di Lugh; ciò non deve sorprendere poiché nelle
mitologie di tutto il mondo un dio che rimpiazza una divinità più antica, viene
sempre collegata ad essa da legami di parentela per poterne ereditare anche
violentemente le funzioni. I Tuatha Dé Danann furono i penultimi invasori
dell’Irlanda (gli ultimi furono i Milesiani, cioè i popoli gaelici) e si imposero ai
più antichi Fomori. Lugh appare così un Balor rigenerato.Lugh è anche divinità
delle arti, chiamato “ugualmente abile in tutte le arti” e “luminoso dalla mano
abile” per indicare le sue capacità. Nel grande racconto mitologico “La battaglia
di Mag Tured” si descrive l’arrivo di Lugh a Tara, capitale sacra dove possono
essere accolti solo coloro che possiedono un’arte. I due portinai di Tara
interrogano Lugh il quale elenca a una a una tutte le sue specializzazioni ed
essi cercano di rifiutargli l’ingresso dicendo che a Tara esistono già persone
maestre in ciascuna delle arti nominate. Al che Lugh ribatte dicendo che non
sarebbe entrato a Tara solo se il re avesse avuto al suo servizio un uomo abile
in tutte le arti. Poiché nessuno possedeva contemporaneamente tutte le
capacità di Lugh, egli entrò trionfalmente nella capitale!
Lugh era patrono di molte città, come Lione in Francia, l’antica Lugdunum,
per l’appunto e ciò può essere spiegato col fatto che le città dei Celti nacquero
quasi tutte come fiere di artigiani e costoro trovavano naturale consacrare i
nuovi insediamenti alloro patrono.
Lugh era detto anche Lamfhada “dal lungo braccio”, appellativo che lo
avvicina al dio solare egizio Aton, raffigurato con raggi dalle lunghe mani. In
alcune leggende egli appare nato da un parto trigemino (cioè possedendo una
triplice forma), in altre egli sposa tre dee. Questo aspetto trino lo avvicina
molto a Brigit, anche essa divinità della luce e delle arti, di cui forse era la
controparte maschile. Lugh è il padre spirituale del grande eroe irlandese Cu
Chulainn, e divenne Llew Llaw Gyffes (“leone dalla mano veloce”) in Galles e
Lud in Inghilterra, figure mitiche i cui miti passarono in quello arturiano di
Lancillotto. Nei tempi cristiani il suo posto fu preso dall’arcangelo Michele, una
più tarda forma di Lucifero che come Lugh è portatore di luce.
Le origini della festa di Lughnasadh sono collegate però non tanto a Lugh
quanto alla sua madre adottiva Tailtiu, la quale si affaticò per preparare le
pianure irlandesi all’agricoltura e così morì, dopo aver chiesto che la pianura
diventasse la sua tomba. Lugh ordinò che gli uomini di Irlanda tenessero una
festa annuale all’anniversario della sua morte, istituendo i giochi funebri in suo
onore. La tradizione di giochi funerari ha paralleli in molte culture, basti
ricordare le cerimonie funebri dei guerrieri morti ricordate nell’Iliade. Il vero
scopo della festa è il raduno delle popolazioni al momento del raccolto sulle
terre coltivate, terre che costituiscono il corpo materiale della Dea della Terra.
Gli stessi raccolti sono anche essi parte del corpo della Madre Terra.
In questo periodo dell’estate avanzata, si erano lasciate alle spalle le fatiche
e le preoccupazioni del raccolto del fieno e ci si preparava al raccolto di grano e
orzo, le messi che il calore del sole ha fatto maturare. Lughnasadh era
occasione di raduni e feste per le tribù celtiche, in cui ci si dedicava a giochi,
gare e banchetti. Era tempo di mostrare la velocità dei propri cavalli e di
competere in gare di abilita e forza: ciò era anche un allenamento alle fatiche
del raccolto, in cui la velocità e la resistenza erano doti essenziali in epoche
prive di macchine. Spesso bisognava fare i conti col cattivo tempo che poteva
rovinare il lavoro di un intero anno! Così i giovani partecipavano a gare di lotta,
lancio di aste, tiro con l’arco e corse di cavalli, giochi tenuti in grande conto in
società guerriere come quella celtica; molte di queste usanze sono state
conservate nei Giochi Gaelici che si tengono ancora in Scozia nel mese di
agosto. Ma anche le arti erano sotto il patrocinio di Lugh e si tenevano quindi
anche competizioni poetiche di Bardi e di musici.
I raduni erano occasioni per tenere fiere in cui venivano ingaggiati braccianti
e venduti animali. La festa durava due settimane e si diceva che finché
sarebbe durata questa tradizione, ci sarebbe stato “grano e latte in ogni casa,
pace e bel tempo per la festa e il raccolto”.
Era tempo di baldorie propiziate dal calore estivo e si celebrava l’inizio del
raccolto e l’offerta dei primi frutti agli dei (la festa era detta “del primo
raccolto”), così come pure la potenza della luce solare e l’abbondanza generosa
della natura. Il sole aveva trionfato su venti, gelo e nebbie e ora il raccolto era
pronto Ma la fertilità è anche un concetto legato alla sessualità umana, così
nell’antica Irlanda si celebravano i cosiddetti matrimoni di prova che duravano
un anno e un giorno. La località principale dove si celebravano questi
matrimoni era in Irlanda a Teltown, località che ha preso il nome dalla Dea
Tailtiu. Vicino a una fossa dove sgorgava una sorgente era eretto un muro con
un foro:
uomini e donne stavano sugli opposti lati del muro, senza potersi vedere ma
spingendo insieme le mani attraverso il foro le loro mani. Se agli uomini
piaceva l’aspetto delle mani delle donne le afferravano e ciò sigillava il patto
matrimoniale. Il contratto era rinnovabile, ma se alla scadenza del periodo la
convivenza aveva avuto cattivo esito, la coppia non doveva fare altro che
ritornare al luogo della cerimonia, mettersi schiena scontro schiena e
allontanarsi in direzione opposte. Una separazione consensuale e tranquilla,
senza spese per il divorzio!
Questa usanza in realtà è il ricordo di un’antica pratica rituale. La ragione di
dare il nome di Lugh alla festa era dovuta alla sua associazione con la Dea Erin
alla quale si unì in matrimonio con“nozze di sovranità” (banais rigi in gaelico)
in occasione del suo accesso alla sovranità dei Tuatha Dé Danann. Allo stesso
modo tutti i re d’Irlanda si univano ritualmente alla Dea della Terra, la sola che
concedeva loro la sovranità sul paese. A Lughnasødh troviamo il parallelo
dell’accoppiamento rituale di Beltane, dove il Dio dell’anno crescente sposava
la Dea della Terra. Allo stesso modo i “matrimoni nei boschi” di maggio hanno
un corrispondente nei matrimoni di Teltown e degli amori nei campi di grano a
Lughnasad.
Ma occorre tener presente che le nozze rituali di Lugh rappresentano un
accoppiamento sacrificale, in armonia del resto col sentimento di morte che
aleggia su questa prima festa di autunno. Secondo lo studioso James Frazer,
questo era il tempo in cui il re sacro era ritualmente ucciso e il nuovo re
sposava la Dea Madre. Così Lugh moriva e rinasceva in accoppiamento con la
Dea, unendo in un unico tema di sacrificio la fertilità umana e quella della
terra. A noi tutto ciò può sembrare paradossale, come pure il collegamento dei
giochi funerari in onore di Tailtiu con le feste nuziali di Lugh. Per comprendere
il paradosso delle nozze di Lugh dobbiamo comprendere che le più tarde
aggiunte alla leggenda hanno deformato il ruolo della Dea: infatti, pare che in
origine i funerali fossero tenuti in onore del Dio che moriva in quanto Dio del
Grano e dell’anno crescente. Le nozze erano quindi quelle del Dio dell’anno
calante, suo gemello e sostituto.Troviamo questi aspetti nella leggenda gallese
di Llew (figura che come si è detto ripete quella di Lugh). Egli visitò il castello
di sua madre Arianrhod recandosi là con un coracle, antica e tipica
imbarcazione irlandese che simboleggia forse il cesto del raccolto con cui le
divinità solari viaggiavano per recarsi dove li attende la Grande Dea. Caer
Arianrhod, il castello della Ruota d’Argento era un altro nome della
costellazione della Corona Borealis, costellazione circumpolare che non
tramonta e quindi ritenuta dimora ultraterrena di divinità e di eroi defunti. Il
viaggio di Llew altro non è che il viaggio compiuto in qualità di re dell’anno
crescente dopo il proprio sacrificio e in attesa di rinascita. Llew nelle leggende
sposò Blodeuwedd, donna creata con i fiori e quindi figura rappresentativa
della Giovane Dea della Vegetazione. In seguito Blodeuwedd tradì Llew con
Grown il Forte e lo uccise, sacrificandolo e sposando il suo sostituto, il re
dell’anno calante.
Anche in Irlanda gli aspetti sacrificali sono adombrati dalle leggende su Crom,
dio sacrificale associato a Lughnasadh e chiamato anche Crom Cruach (“il
piegato del tumulo”) o Crom Dubh (“il piegato dal nero colore). L’ultima
Domenica di luglio in Irlanda è la Domenica di Crom Dubh, in cui ha luogo un
grande pellegrinaggio sul monte Croagh Patrick dove si dice che San Patrizio
sconfisse una schiera di demoni. Il sacrificio di Crom era compiuto anticamente
sacrificando un suo rappresentante umano presso una pietra fallica circondata
da altre dodici pietre, essendo questo il tradizionale numero dei compagni del
re-eroe sacrificale. Il Libro di Leinster cita dodici idoli di pietra e la statua d’oro
di Crom. Più tardi i sacrifici umani furono rimpiazzati da quelli di un toro. Crom,
come pure Balor o Bres, è una forma antica del dio luminoso che produce
raccolti, rimpiazzata da Lugh in qualità di nuovo Dio che gli sottrae i frutti del
suo potere. Nelle leggende Crom Dubh era sepolto nel terreno fino al collo per
tre giorni e poi liberato una volta che i frutti del raccolto erano stati garantiti:
un segno del successo del rituale era l’abbondanza di mirtilli, presagio di
raccolti abbondanti. Ciò rimase nel folklore col nome di Domenica del Mirtillo
dato alla Domenica di Crom Dubh, con i giovani che vanno a raccogliere questo
frutto. La sepoltura di Crom e la sua liberazione ci rinviano dunque al tema di
sacrificio e di rinascita di Lughnasadh.Lughnasad passò nel folklore britannico
con il nome di Lammas, abbreviazione di Loaf-mass (dall’Anglo-Sassone “Hlafmaess”)
o “messa della pagnotta” poiché con il primo grano raccolto si
preparava un pane propiziatorio, offerto nelle chiese come parte di riti
eucaristici. L’antica divinità divenne John Barleycorn, lo spirito del grano o
dell’orzo che muore stritolato nella macina per domare farina agli uomini o
annegato nella distillazione per produrre whisky.Non a caso nel mito celtico la
dimora funebre di re ed eroi era rappresentata come una costruzione circolare
e rotante, il Castello della Ruota d’Argento: non è forse questa una
raffigurazione poetica del mulino con la sua macina sacrificale?Ma lo stesso
simbolo viene raffigurato dalla ruota che viene accesa e fatta rotolare giù per il
pendio di una collina, usanza ancora oggi celebrata in Scozia, Germania e
Svizzera. A volte la ruota finisce in un fiume, così come la ruota delle stagioni
inizia il suo declino. Questa ruota è nuovamente la ruota solare che abbiamo
già visto nelle feste del Solstizio estivo. Lughnasadh ripete in un certo senso
alcuni simboli solstiziali, essendo il culmine e l’inizio del declino nel ciclo delle
feste celtiche allo stesso modo in cui il Solstizio estivo è culmine e inizio di
declino nelle feste astronomico-solari.La festa viene celebrata anche con fuochi
rituali accesi in cima alle colline, come in Galles, nell’isola di Man e in Irlanda,
dove i falò sono anche occasione di danze di licenziosità.La pianta sacra di
Lughnasadh è la spiga di grano o di orzo. Lugh e Llew sono divinità del grano,
di morte e di rinascita, perché il grano tagliato rinasce come farina e pane.
Durante i raccolti si credeva anticamente che una forza sacra (chiamata dai
Russi il Vecchio, da altri popoli slavi la Vecchia, e nei paesi germanici la
Madonna del Grano) si incarnasse nell’ultimo covone mietuto. Questo spirito
del grano era identificato spesso nell’ultimo mietitore che raccoglieva l’ultimo
covone. In tempi antichi egli era sacrificato e le sue ceneri sparse nei campi.
Poi si passò a sacrificare animali e bruciare fantocci, ma il significato era
sempre quello:il sacrificio della divinità primordiale, che moriva come Re del
Grano e il cui sangue benediceva la terra , garanzia di futuri e abbondanti
raccolti. La festa del sole calante è il punto di svolta in cui l’Uomo Verde di
Beltane si prepara a diventare l’Uomo Grigio della morte in autunno, quando
inizia il suo viaggio verso l’Altro Mondo. Ora, infatti, è il tempo in cui si arresta
la crescita nel mondo vegetale per permettere al raccolto di maturare. Nel
folklore europeo, durante i rituali dell’ultimo covone, si estraggono i chicchi del
futuro raccolto e si spargono le ceneri delle spighe per fertilizzare la terra. Il
tema di morte e rinascita non negava quello della fertilità, espresso dalle orge
rituali durante le feste del raccolto che, riattualizzando il mitico caos primordiale,
rinnovavano il ciclo dell’anno e la fecondità della terra: fertilità umana e
fertilità della Natura. Eros (amore) e Tanathos (morte) costituiscono un
binomio inscindibile anche in questo periodo dell’anno.
CELEBRARE LUGHANASADH
Questo momento dell’anno, dominato dal calore solare e dalla generosità della
Natura, vede la fine degli sforzi umani per portare a compimento il ciclo agrario
con il raccolto.Lughnasadh per noi dovrebbe essere tempo di gioia e di
vacanze, un periodo in cui raccogliamo e godiamo i frutti delle nostre fatiche.
Le cose che abbiamo portato a termine al Solstizio ora sono mature e possiamo
vedere i primi risultati delle nostre azioni intraprese nei mesi precedenti.Ma è
anche un momento di preparazione per il futuro, di riflettere che presto sarà
autunno e che dovremo affrontare una fase diversa. Per capire l’importanza di
questa festa nella nostra vita psichica, ci occorre comprendere l’importanza del
tema di morte e di rinascita nelle nostre vite. Diventiamo consapevoli che la
vita umana cresce e poi declina, è una ruota che deve continuamente essere
equilibrata. Questo è il culmine dell’anno ma anche l’inizio del processo del suo
declino. E’ utile comprendere l’idea del sacrificio in termini di trasformazione,
non tanto di morte bensì di lasciare andare via qualcosa per arrivare ad un più
alto livello creativo nella nostra vita. Il grano sacrificato diventa pane, il frutto
viene raccolto in modo che ci possa nutrire. Lughnasadh è festa di
trasformazione e la rinascita è la legge perpetua della Natura.Proviamo ad
andare nei campi dopo la mietitura: se saremo fortunati potremo trovare
alcune spighe sopravvissute alle implacabili mietitrebbiatrici. accogliamole e
formiamo con esse una bella ghirlanda intrecciata con nastri dorati, il colore del
dio Lugh. Conserviamola in casa o regaliamola
alla persona più cara, come auspicio d’abbondanti raccolti materiali e spirituali
nelle nostre vite.Se vogliamo provare a celebrare in maniera rituale questa
festa, potremmo farlo all’alba del l~ agosto oppure nel pomeriggio della stessa
giornata. Ci si procura alcune spighe di cereali, alcune manciate di chicchi di
grano, una pagnotta di pane e una coppa di vino. Si accendono tre piccoli
fuochi oppure (se non possiamo celebrare questo rituale all’aperto) tre candele
gialle o dorate. Si inizia da quello di destra dicendo: “In onore di Lugh, Dio
della Luce”. Poi si passa ad accendere il fuoco o la candela di sinistra dicendo:
“In onore della Dea della Terra”. Infine si accende il fuoco (o la candela)
centrale dicendo: “In onore del Re del Grano che muore per donarci la vita”. A
questo punto con le spighe che ci siamo procurate formiamo un mazzo,
legandolo con un nastro giallo o dorato e collocandolo nello spazio davanti alle
tre candele o ai tre fuochi. Si prende una manciata di chicchi di grano e si
compie lentamente un giro a spirale attorno al nostro mazzo di spighe, verso
l’esterno e in senso antiorario. Camminando si lascia cadere lentamente il
grano dietro di noi, dicendo: “Percorro il sentiero della Madre Terra’: Dopo aver
compiuto tre giri intorno al mazzo, ci si ferma in meditazione sul significato del
grano e poi si ritorna verso il mazzo, sempre muovendo a spirale ma stavolta
in senso orario. Si lasciano cadere altri semi di grano, dicendo: “Percorro il
sentiero del Dio della Luce”.
Ci si ferma in meditazione sul Dio Sole che sta per iniziare il suo viaggio
nell’Altro Mondo. Poi si leva in alto il pane, indi la coppa di vino e si consumano
questi cibi, lasciando briciole e gocce di vino da versare sulla terra.

(Feste Pagane Di Roberto fattore)